Intervista a Gino Roncaglia: Docenti, facilitatori oltre che esperti disciplinari

24 Marzo 2020

A cura della redazione di Docete 

In questi giorni di disorientamento, anche lavorativo, le scuole, in forme e modi diversi, stanno cercando di garantire comunque il diritto allo studio degli alunni. Le esperienze in campo sono le più disparate: da chi invia solo materiali ed esercizi (anche se il Miur ha chiarito che non è questo ciò che è richiesto ai docenti) a chi svolge una lezione in video conferenza, come se fosse in classe. Sono due modelli, i più semplici da attuare in breve tempo, ma che pongono meno sfide. Il digitale potrebbe e dovrebbe essere sfruttato meglio ai fini dell’apprendimento.

Ne abbiamo parlato con il prof. Gino Roncaglia, professore associato presso l’Università degli Studi della Tuscia, dove insegna Editoria digitale e Informatica umanistica, e professore onorario della Universidad Nacional de Villa María in Argentina.

Gli chiediamo subito se è d’accordo con le nostre premesse e se può consigliare qualche modello cui ispirarsi.

Sì, credo anch’io che un uso della didattica on-line che si limiti alla distribuzione di materiali o al tentativo di replicare le stesse forme di interazione utilizzate nella didattica in presenza sia poco sensato. Certo, si tratta di reazioni comprensibili considerando la situazione di emergenza e l’assenza diffusa di competenze, ma è importante capire – e far capire – che la didattica a distanza ha le sue potenzialità, le sue forme specifiche di interazione e collaborazione, le sue metodologie. Per fare un esempio, la didattica a distanza dovrebbe essere orientata a costruire – in forma collaborativa e validata – contenuti di qualità adatti a essere riutilizzati, mentre la pura sostituzione di lezioni ‘live’ in aula virtuale alle lezioni in presenza, con lezioni on-line organizzate nello stesso modo in cui si organizzavano le lezioni in presenza, produce contenuti ‘a perdere’, non riusabili e non validati, proprio come accade normalmente nel caso delle lezioni in presenza. Ed è un peccato. Così come è un peccato non sfruttare le piattaforme on-line anche per costruire interazione orizzontale fra i corsisti, o fra docenti di materie diverse, e non solo interazione verticale del singolo corsista con il singolo docente”.

Lei da tanti anni ormai utilizza questa modalità per la didattica universitaria. Può dare qualche suggerimento su come si pianifica l’attività online? Su come si struttura la regia metodologica?

La didattica on-line ha bisogno, ancor più di quella in presenza, di una progettazione accurata: il docente non può affidarsi solo alla sua esperienza e ‘improvvisare’ le singole lezioni: dovrebbe avere un’idea organica del percorso da compiere e scegliere consapevolmente, già in fase di progettazione, gli strumenti di interazione di volta in colta più adatti. E dovrebbe lavorare moltissimo sulla cura delle relazioni interpersonali in piattaforma: non è un caso che nella didattica a distanza la figura del tutor abbia un rilievo metodologico non minore rispetto a quella del docente. Uno dei problemi che incontriamo in questa situazione di emergenza è che molti docenti non si rendono conto del rilievo di questa funzione e si limitano, appunto, al tradizionale ruolo docente. Magari si rendono conto confusamente che manca qualcosa, che la capacità di coinvolgere e motivare ‘funziona’ diversamente on-line rispetto al lavoro in presenza. Ma non capiscono che devono essere anche facilitatori dell’interazione in piattaforma, e non solo esperti disciplinari”.

La sua esperienza le permette oggi di dire cosa assolutamente è sconsigliato nella didattica online e perché?

L’errore più grave è limitarsi a distribuire compiti e materiali, utilizzando le piattaforme semplicemente nelle loro funzioni di erogazione dei contenuti e non in quelle legate all’interazione, alle relazioni interpersonali, al dialogo formativo. L’apprendimento è sempre un fatto sociale, anche quando avviene on-line. Limitarsi all’erogazione di contenuti vuol dire negare questa realtà, tagliare i canali di comunicazione fra i corsisti e trasformare il dialogo didattico in un monologo autoreferenziale. Il che porta quasi sempre a perdere, spesso disastrosamente, la sfida della motivazione

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